Viaggiare, vivere: la mia esperienza in solitaria in Thailandia tra cultura e Muay Thai

Ci sono molti motivi per cui si decide di partire. Per lavoro, per curiosità, in vacanza. A volte si parte per salvarsi. Così è iniziata la mia avventura in Thailandia, a Phuket.

Parte 1: la partenza

Ero in aeroporto, in solitaria, con una proposta di matrimonio al gate, nonostante la quale dovevo partire, perché ci sono istanti nel corso dell’esistenza in cui non puoi fare altrimenti. Dietro di me una promessa, di fronte a me l’ignoto. 12 ore di volo, 2 stop over, tre settimane in un camp di Muay thai tra allenamenti estenuanti, templi buddisti ed una nuova cultura da scoprire. E solo una persona sulla quale poter contare: me stessa.

Un viaggio regala emozioni che colorano per sempre la vita, donandole sfumature che nemmeno immaginiamo possano esistere, tavolozze sulle quali mescoliamo colori soltanto nostri, che nessun altro vede, a parte noi. Io adoro la Muay thai. E volevo colorare la mia vita in un momento in cui le sfumature si erano offuscate, in cui i colori avevano perso la loro tinta vivida. Avevo dubbi, domande, il timore di non farcela. Ma la mia graffiante fame di vita che mi stava divorando si mangiava tutto.

Parte 2: Muay Thai

È un’arte marziale con radici provenienti dall’uso militare risalente al 13° secolo durante l’epoca del regno di Sukhothai. Il primo esercito tailandese si è formato per la necessità di difendere il regno del Siam, l’antica Thailandia ed i soldati sono stati addestrati per combattere sia armati che disarmati.

Quando salgono sul ring i combattenti indossano un copricapo chiamato Mongkhon e bracciali chiamati Prajiads, considerati oggetti sacri. I mongkhon sono realizzati a mano usando corda e stoffa, con ornamenti che rappresentano una sorta di talismano portafortuna. I Mongkhon sono benedetti dai monaci prima di essere indossati.

Essendo un’arte profondamente legata alle tradizioni e alla cultura, uno degli aspetti più importanti della Muay Thai è la cerimonia pre-combattimento la Wai Kru Ram Muay. Il rituale si svolge sul ring, accompagnato dalla tradizionale musica tailandese ritmica ed ipnotica, la Sarama. Wai Kru significa “portare rispetto all’insegnante”. Completato il Wai Kru, i combattenti eseguono una danza (Ram Muay) con vari gradi di difficoltà che varia da combattente a combattente e da camp a camp, tramandata dagli insegnanti. La Ram Muay omaggia i personaggi delle leggende tailandesi o delle storie sanscrite come il Ramayana.

Il Wai Kru Ram Muay non è solo di natura cerimoniale, ma aiuta anche a preparare i combattenti per la lotta fisicamente e mentalmente.

Parte 3: la Vita

Erano le 18:00 di un pomeriggio di novembre quando sono scesa dall’aereo frastornata, affamata, accolta da un’umidità alla quale non ero abituata e dall’oscurità. I proprietari del Camp sono venuti a prendermi ed in breve siamo giunti a destinazione. Dovevo ancora realizzare che ero quasi dall’altra parte del mondo, in un luogo dove nessuno parlava la mia lingua e pochissimo inglese. Mi addormentai subito nella mia stanza che si affacciava su un palmeto, aspettando il giorno, il mattino, la luce.

Le settimane che seguirono hanno cambiato per sempre qualcosa dentro di me. Mi hanno forgiato, hanno bussato alla me che si nascondeva, temendo di non essere abbastanza forte. Se chiudo gli occhi vedo scorrere ancora tutto così nitidamente, spezzoni di esistenza che si mescolano alle emozioni, che si fondono con la totalità della vita.

Mi sono immersa completamente nella cultura thailandese, cercando di vivere quanto più possibile come i locals, osservando, mescolandomi, cercando di intuire, interpretare, assimilare una cultura così diversa da quella occidentale.

Ho assaggiato cibi assurdi, mi sono persa tra i mercati, ho nuotato in un mare di cristallo, ho visitato templi buddisti pregando con i monaci, ho praticato la Muay thai, un’arte che amo, sono sfrecciata in motorino su strade fatte di fango, a braccia aperte cantando sotto la pioggia, ho cucinato, ho conosciuto persone provenienti da ogni parte del mondo. Ho sorriso, ho riflettuto, ho appreso il valore del silenzio, a volte mi sono sentita sola, mi sono sentita felice. Mi sono sentita, per la prima volta nella mia vita, abbastanza. Completa.

E quando sono ripartita per tornare a casa, lasciando la “Terra del sorriso”, ho pianto. Ho salutato per sempre quello che ero per iniziare ad essere quello che sono.


Tornando da un viaggio portiamo con noi ricordi, doni, oggetti. Io ho portato indietro a cosa più preziosa: me stessa.

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